di Sam Dolgoff – traduzione di Lona Lenti
Questo brano è tratto dall’opuscolo “The relevance of anarchism to modern society”, versione estesa di un articolo apparso nel 1970 su Libertarian Analysis. L’opuscolo è stato pubblicato negli anni ‘70 del secolo scorso a Minneapolis (USA) da Soil of Liberty.
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Una discussione sensata sulla rilevanza delle idee anarchiche per le moderne società industrializzate deve innanzitutto, per chiarezza, delineare la differenza tra il “neo-anarchismo” di oggi e l’anarchismo classico di Proudhon, Kropotkin, Malatesta e dei loro successori. Salvo rare eccezioni, si rimane bloccati dal carattere mediocre e superficiale delle idee avanzate dagli scrittori moderni sull’anarchismo. Invece di presentare nuove intuizioni, si ripetono idee utopistiche che il movimento anarchico ha da tempo superato e respinto come totalmente irrilevanti per i problemi della nostra società sempre più complessa.
Molte delle idee che il noto scrittore anarchico Luigi Fabbri, mezzo secolo fa, etichettò come “Influenze borghesi sull’anarchismo” sono di nuovo in circolazione (“Influenze borghesi sull’anarchismo” è un saggio di Luigi Fabbri uscito agli inizi del’900 e ripubblicato nel 1998 da “Zero in Condotta” ndr). Per esempio, c’è l’articolo di Kingsley Widmer, “Anarchism revived-Right, Left and All Around”. Come altri movimenti borghesi simili in passato, Widmer sottolinea correttamente che:
“…la rinascita contemporanea dell’anarchismo… proviene soprattutto dagli intellettuali dissidenti della classe media, dagli studenti e da altri gruppi marginali che si basano su aspetti individualisti, utopici e altri aspetti dell’anarchismo non legati alla classe operaia…”(The Nation, 16 novembre 1970 ndr).
Altre caratteristiche tipiche dell’anarchismo borghese sono: “evasione” – la speranza che l’establishment venga gradualmente minato se un numero sufficiente di persone “evadono” dal sistema e “vivono come anarchici in comuni e altre istituzioni di vita…”.
Nechayevismo – glorificazione romantica della cospirazione, della spietatezza e della violenza nella tradizione amorale di Nechayev.
Bohémien – totale irresponsabilità; preoccupazione esclusiva per il proprio “stile di vita” pittoresco; esibizionismo; rifiuto di qualsiasi forma di organizzazione o autodisciplina.
Individualismo antisociale – l’impulso a “idealizzare le forme più antisociali di ribellione individuale” (Luigi Fabbri).
“…l’insofferenza per l’oppressione (scrive Malatesta), il desiderio di essere liberi e di sviluppare la propria personalità fino ai suoi limiti, non bastano a fare di un individuo un anarchico. L’aspirazione alla libertà illimitata, se non è temperata dall’amore per l’umanità e dal desiderio che tutti godano di uguale libertà, può creare ribelli che… diventano presto sfruttatori e tiranni…”.
Altri neo-anarchici sono ossessionati dall'”azione per il gusto di agire”. Uno dei maggiori storici dell’anarchismo italiano, Pier Carlo Masini, osserva che per costoro la “spontaneità” è la panacea che risolve automaticamente tutti i problemi. Non è necessaria alcuna preparazione teorica o pratica. Nella “rivoluzione” che è “dietro l’angolo” la differenza fondamentale tra i libertari e i nostri nemici mortali, i gruppi autoritari come i marxisti-leninisti, svanirà miracolosamente.
“Paradossalmente [osserva Masini], gli anarchici veramente moderni sono quelli con i capelli bianchi, quelli guidati dagli insegnamenti di Bakunin e Malatesta, che in Italia e in Spagna (così come in Russia) avevano imparato da un’amara partecipazione personale quanto possa essere seria la rivoluzione…”.
Non è nostra intenzione sminuire le molte belle cose che gli studiosi dicono, né sminuire le magnifiche lotte dei nostri giovani ribelli contro la guerra, il razzismo e i falsi valori di quel vile crimine che è l’”estabilishment” – lotte che hanno innescato la rinascita del movimento radicale a lungo sopito. Ma sottolineano gli aspetti negativi e ignorano o interpretano male i principi costruttivi dell’anarchismo. Bakunin e gli anarchici classici hanno sempre sottolineato la necessità di un pensiero e di un’azione costruttivi.
“Il movimento rivoluzionario del 1848 era ricco di istinti e di idee negative che gli davano piena giustificazione per la sua lotta contro il privilegio, ma mancava completamente di qualsiasi idea positiva e pratica che sarebbe stata necessaria per permettergli di erigere un nuovo sistema sulle rovine del vecchio assetto borghese…” (Bakunin).
In mancanza di tali solide fondamenta, questi movimenti finiscono per disintegrarsi.
La distorsione delle idee anarchiche
Alcune opere sull’anarchismo, come Anarchism di George Woodcock (pubblicato in italiano: L’anarchia. Storia delle idee e dei movimenti libertari, Milano, Feltrinelli, 1966) e i due libri di Horowitz e Joll – entrambi intitolati The Anarchists (del libro di Joll la prima edizione italiana è del Saggiatore, 1976, mentre del libro di Hrowitz non risultano edizioni italiane ndr) – perpetuano il mito che gli anarchici siano delle anticaglie viventi, dei visionari che desiderano tornare a un passato idilliaco. Secondo Woodcock, “… il movimento anarchico storico nato da Bakunin e dai suoi seguaci è morto…”. I principi cardine dell’anarchismo classico: il decentramento economico e politico del potere, l’autonomia individuale e locale, l’autogestione dell’industria (controllo dei lavoratori) e il federalismo sono
“forme obsolete di organizzazione (in contrasto) con la tendenza mondiale alla centralizzazione politica ed economica… La vera rivoluzione sociale dell’epoca moderna è infatti il processo di centralizzazione a cui ha contribuito ogni sviluppo del progresso scientifico e tecnologico… il movimento anarchico non è riuscito a presentare un’alternativa allo Stato o all’economia capitalista.” (George Woodcock)
È difficile capire come studiosi che conoscono anche solo un po’ la vasta letteratura libertaria sulla ricostruzione sociale arrivino a conclusioni così assurde! Una notevole eccezione è rappresentata dal sociologo-storico francese Daniel Guerin, il cui eccellente libretto L’anarchisme (pubblicato più volte in italiano con il titolo “L’anarchismo dalla dottrina all’azione) è stato tradotto in inglese con un’introduzione di Noam Chomsky (Monthly Review Press, N. Y.). Guerin si concentra sugli aspetti costruttivi dell’anarchismo. Pur non essendo privo di difetti (sottovaluta l’importanza delle idee di Kropotkin ed esagera quelle di Stirner), è comunque la migliore introduzione breve all’argomento. Guerin confuta efficacemente le argomentazioni degli storici recenti, in particolare Jean Maitron, Woodcock e Joll, concludendo che la loro
“immagine dell’anarchismo non è vera. L’anarchismo costruttivo, che ha trovato la sua espressione più compiuta negli scritti di Bakunin, si basa sull’organizzazione, sull’autodisciplina, sull’integrazione, su una centralizzazione non coercitiva, ma federalista. Si riferisce all’industria su larga scala, alla tecnologia moderna, al proletariato moderno, all’internazionalismo genuino… Nel mondo moderno gli interessi materiali, intellettuali e morali hanno creato tra tutte le parti di una nazione, e persino tra nazioni diverse, una vera e solida unità, che sopravvivrà a tutti gli Stati”…